Era un inverno mite nella quinta vallata dell’ovest.
Molti dei villaggi di pastorizia si furono svuotati dopo il tragico fallimento della grande conceria.
Nel cielo terso risplendeva con poca forza il sole basso sopra le creste rocciose e le correnti fredde dei monti scorrevano lievi ma taglienti tra le fronde degli alberi. Il loro rumore sordo si accordava con il gorgoglio dei ruscelli e il cinguettio degli uccel di bosco.
In queste terre alte vi era un’unica ferrovia nata per mettere in comunicazione la conceria con la fondo valle. Le rotaie si erano conservate nel tempo, ma l’erba alta tra di esse dimostrava quanto madre natura si fosse rimpossessata di tutto il paesaggio.
Francesco De Sales era finalmente arrivato al paese di Concordanza dopo quasi una mezza giornata di viaggio in corriera. Il ragazzo era un promettente giornalista che adorava definirsi un freelance dei web-log.
Il suo sito internet chiamato Interviste Uniche divenne molto popolare grazie all’Intervista alla Signora dei Fiori di Pesco. In quell’incontro con una paziente dell'ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà, De Sales descrisse come la signora scelse consciamente di vivere nel suo mondo immaginario fatto di fiori di pesco rifiutando la realtà materialista e senza Dio dei giorni nostri. La sua scrittura diretta, precisa e coerente abbinata alla sua straordinaria capacità di eviscerare l’animo delle persone gli conferì la prima pagina sui motori di ricerca.
Molti editori e notiziari gli proposero contratti di lavoro o collaborazione molto allettanti, ma il giovane controcorrente li rifiutò e questo a causa della sua forte vena apolitica.
Il sentimento dell’apolitica, tipico del movimento giovanile, gli dava un carattere piuttosto ricercato dai suoi lettori di città e gli conferiva uno stile di vita piuttosto disinteressato alla società a causa
delle molte distrazioni e della poca partecipazione dei movimenti sociali. Tutto questo contrastava con i pareri degli anziani che abbracciavano l’opinione degli studiosi in materia ovvero che l’antipolitica sociale fosse un ossimoro in quanto la politica dovrebbe essere parte integrante della società in quanto responsabile del benessere e della felicità della stessa.
“Nel nostro paese non esiste un notiziario che non abbia un padrone politico.” Scrisse Francesco De Sales nel proprio sito in un articolo introspettivo: “Io non mi sento di rappresentare alcun ideologia politica, alcun movimento o alcun tipo di altra scelta. Io ho deciso di riportare solo la verità dei fatti o meglio delle persone così come mi appaiono, senza denaturarne l’animo o il sentimento. Voglio pormi come un amplificatore per persone che non hanno voce, ma che possano pensare in maniera diversa dalla massa per poter seminare dei dubbi nel nostro complesso sistematico di oggi.”
Francesco venne a sapere di un eremita a Concordanza; un vecchio chiamato il Filosofo della Ferrovia che abitava nell’ultima e desolata cantoniera ferroviaria della vallata. Un uomo di scienza, laureatosi in filosofia presso una prestigiosa Università degli Studi quasi settanta anni fa, ma che scelse di ritornare alle proprie origini.
La ferrovia abbandonata attraversava una strada alberata prima di raggiungere la vecchia conceria oggi demolita e in quel luogo, poco lontano dal paese, c’era una cantoniera con il suo passaggio a livello arrugginito dal tempo.
L’edificio a due piani fuori terra fu costruito lungo la linea ferroviaria e, per la sua decadente struttura e la lieve pendenza verso destra, sembrava inabitabile agli occhi di Francesco.
Prima di attraversare il passaggio a livello a piedi, il giovane esaminò la strana costruzione attentamente per meglio comprendere le abitudini del suo proprietario. La parete lungo la ferrovia era del color crema originale, ma era perlopiù rovinata con l’intonaco distaccatosi dall’erosione del vento e dalle nevicate invernali. Quattro finestre erano sigillate dalle ante mentre, oltre ad uno strano infisso sigillato, vi era anche un caratteristico numero 83 che troneggiava su di esse. Dalla parete inferiore spuntava, come una piccola coda, un caminetto di latta piegato verso l’alto e dalla caratteristica forma a fungo mentre sul muro dell’ingresso, seminascosto da un cancello di cemento ed un magazzino, spiccava una grossa T cancellata dal tempo vicino all’unica finestra aperta sulla strada ghiacciata. Superato il passaggio a livello, Francesco studiava come quella casa potesse
parlare del proprio padrone: disordine, riservatezza e trascuratezza. Vide il cancello chiuso da ben due grossi lucchetti ed un cartello con scritto: “State alla larga”, ma secondo il giornalista era un messaggio piuttosto inutile in un posto desolato come quello. Oltre al cancello vi era un giardino di piante selvatiche poco curate e seduto su di una seggiola a dondolo davanti alla porta d’ingresso vi era l’eremita.
Il giornalista si tolse dalla fredda ombra della lunga via alberata e si avvicinò al cancello: “Buongiorno, sono il freelance Francesco De Sales delle Interviste Uniche.” L’anziano, sotto il poco sole invernale che illuminava l’ingresso, osservò attentamente il giovane ad occhi stretti fumando una pipa churchwarden, ma rimase immobile. Poi il vecchio sbuffò una nuvola di fumo dalla sua lunga pipa riccamente ornata, e chinò in avanti la testa nascondendo gli occhi sotto una cappello di paglia intrecciata.
Francesco pensò che l’anziano soffrisse di disturbi all’udito e si schiarì la voce: “Buongiorno, sono il giornalista Francesco De Sales delle…” “Salve.” Salutò l’anziano con una voce secca e distaccata: “La stavamo aspettando anche se non proprio in questo momento.”
L’anziano mosse la pipa nella propria bocca con un’espressione di forte disgusto. Francesco sapeva
di essere in orario: “Le faccio le mie più sincere scuse per l’orario, signor Ironio. Non ha ricevuto la
mia lettera?” Il giovane si affacciò al cancello che si aprì al minimo sforzo con sorpresa del ragazzo.
La chiusura con i due lucchetti era in realtà un inganno agli occhi del giornalista che decise di rimanere sempre allerta: “Posso entrare? Con permesso.”
Il vecchio rimase immobile, ma la sua voce si fece sempre più lenta: “Cosa vuole esattamente, signor De Sales?”
“Solo farle una piccola intervista, nulla in più di quello che gli scrissi tempo fa nell’ultima lettera.
La ringrazio moltissimo per la sua disponibilità. Non le ruberò molto tempo.” Il ragazzo, mosso dal pensiero che quello fosse un posto privo di occupazioni, si fece sfuggire un piccolo cenno d’ironia nell’ultima frase e questo smosse il vecchio che spense la propria pipa con il pigino e lo scovolino: “Dunque lei vorrebbe entrare in casa nostra?” si alzò dalla seggiola a dondolo.
“La ringrazio.” Il giovane attraversò il giardino dell’ingresso ed estrasse un piccolo fazzoletto dalla tasca dei suoi jeans e si asciugò il sudore della fronte mentre il vecchio gli diede le spalle per aprire la porta di casa: “Non tema giovanotto. Potrà ritemprare le sue meningi in casa nostra.” Scherzò il vecchio entrando in casa e mostrando al giovane dove appendere il proprio cappotto togliendosi il proprio.
Una volta entrato, un fortissimo odore acre assalì il giovane opponendosi al piacere del tepore asalingo. Appese il cappotto in un soggiorno ricolmo di moltissimi oggetti diversi, alcuni di altre epoche. Aldilà della sala, in una stanza connessa vi era un grosso caminetto che scaldava l’intera casa di muri rovinati dall’umidità.
Al centro del salone, arredato con mobili molto vecchi ed un lampadario rotto, c’erano tre poltrone diverse e disposte in cerchio. Non era difficile capire che la stanza col caminetto fosse la cucina dati i numerosi utensili, padelle e pentolini di rame dal manico lungo appese alle pareti. Il forte odore disgustò Francesco che strinse più volte il naso.
“Vedo che non apprezza le bucce d'arancio.” Disse il vecchio puntando il dito verso la stufa vivace e poi fece cenno con la mano aperta di sedersi al giovane: “Scelga la poltrona che preferisca di più.
Non che la scelta importi.”
Francesco vide l’eremita sorridere e questo aumentò il suo senso d’inquietudine. Si sedette sulla prima a disposizione ovvero una poltrona di pelle rossa imbottita e con in punta su di ognuno dei braccioli una testa di leone in ferro.
“Quindi la sua indubbia scelta l’ha portata verso il buon gusto.” Il tono del vecchio si fece sempre più amichevole e si sedette su di una poltrona nera dallo schienale piuttosto alto.
Il ragazzo provò a mettersi a suo agio schiarendosi la voce: “Posso chiedervi di registrare il nostro incontro?”
Il vecchietto rugoso e calvo sorrise e parlò scandendo stranamente le proprie parole: “Questa è una scelta che non mi compete. Si senta libero di fare ciò che pensa possa essere più opportuno.” Il vecchio prese dalla tasca del proprio panciotto il proprio curapipe e sistemò il tabacco per una nuova accensione.
“La ringrazio.” Il giovane sfiorò il proprio registratore high tech e poi estrasse dalla tasca della propria camicia un taccuino con penna: “Bene. Possiamo iniziare. Eccovi la prima domanda: da quanto tempo vive qui signor Massimo Ironio?”
L’eremita si accese la pipa con un fiammifero ed iniziò a parlare lentamente sbuffando qualche nuvola di fumo dolce: “Lei ha difronte l’ultimo vero abitante di Concordanza da quando il prete ha fatto ritorno al suo clero e da quando la Teresina, Antonio, Piero e Beppe non ci sono più. A breve compieremo cento anni in questo posto.” Il vecchio si fermò come per attendere un responso fumando a lungo mentre guardava il giovane giornalista concentrato più dal non dimostrare il disgusto degli odori che dal fare la domanda successiva: “Immagino che queste persone che avete citato fossero gli ultimi vostri conoscenti, vero? Come può sopportare la propria solitudine da quei giorni?”
Il vecchio strinse gli occhi: “La solitudine può essere vista come un allontanamento o l’abbandono della socievolezza, ma per noi non è affatto così. La cosiddetta solitudine può, e deve essere, un viaggio interiore ai confini della propria mente per poter scoprire solo attraverso noi stessi la verità delle nostre scelte. Ci segue?” Il vecchio sbuffò altro fumo mentre il giovane annuì. Continuò: “Viviamo queste fredde giornate invernali tra i nostri oggetti più cari, anche quelli apparentemente insulsi, ma che hanno comunque un significato soggettivo. Abbiamo vissuto qui la maggior parte della nostra vita e nostro padre fu il responsabile del casello ferroviario per molti anni. Sopratutto negli anni in cui la grande conceria fu all’apice della propria produzione. In quei tempi, Concordanza ospitava centinaia di lavoratori con le proprie famiglie. Dopo la sua chiusura della
fabbrica a causa dello smottamento di cinquantanni fa, tutti i paesani compresi i pastori abbandonarono questo posto. Solo pochi nativi vollero restare affinché il paese non diventasse un fantasma, ma ora tutto sembra essere perduto. Teresina, Antonio, Beppe e Piero sono stati gli ultimi ad andarsene e tutti hanno vissuto una vita piena e senza risentimenti.” L’eremita si fermò per curare la pipa quasi spenta. Il giornalista non perse un appunto: “Quindi tutti questi oggetti in casa sua, strumenti di lavoro, fogli, mappe, orologi e quanto altro, sono ricordi?” “In parte si.” L’eremita sbuffò con soddisfazione una nuova nuvola grigia: “Ognuno di essi custodisce una storia ed ogni storia custodisce dentro una persona.”
Il ragazzo attese il continuo, ma capì che l’eremita sembrò perdersi nei propri pensieri dal suo sguardo fisso verso sinistra e quindi chiese: “Quindi se ho ben capito, voi passate le giornate a studiare i vostri ricordi. Avete potuto dedurre dei risultati dai vostri studi?”
L’anziano lo guardò dritto negli occhi: “Come le abbiamo già detto, ogni ricordo, che sia oggettivo o soggettivo, contiene una storia che potrà essere piccola come un attimo o grande come una vita intera. Ci potrà essere una sequenza di storie strettamente correlate o no da poter disporre su di un ipotetico spazio immaginario della nostra mente. Sta a noi scegliere se disporle in maniera ordinata o disordinata. Ci segue? Il sistema disordinato è il più comune mezzo inconscio per visualizzare le nostre piccole storie o le vicende di un’altra persona e ci si pone di fronte ad esse come fossimo davanti ad un tavolo imbandito di fotografie sparse e di cui ne possiamo analizzare solo una o poche alla volta. Al contrario, il sistema ordinato è invece la classica linea logica temporale in cui i nostri ricordi, o le nostre storie, possono essere concatenate secondo il criterio del tempo, ma io sostengo che tali linee logiche non siano parallele tra di loro.” Il vecchio si fermò come per scegliere attentamente le prossime parole ed iniziò a fumare a lungo.
Il ragazzo smise di scrivere come un forsennato ed alzò il proprio sguardo: “Le chiedo scusa, cosa significa che secondo voi le linee temporali possano non essere parallele tra di loro?” L’eremita socchiude gli occhi mostrando una profonda concentrazione: “Lei ha sempre pensato di vivere la sua vita in un presente contemporaneamente ad altri suoi simili, non è vero? Le persone sono convinte di trascorrere la propria esistenza in un presente che segna in una sola direzione l’andamento del tempo. Questo, per esempio, viene a noi dettato dal giorno e dalla notte, Ci segue?”
Il ragazzo annuì, ma smise di scrivere avendo la certezza della registrazione: “Si.” “Bene. Oltre a questo, abbiamo anche la convinzione che ognuno di noi stia vivendo questo momento simultaneamente con individui in nostra presenza e non, indipendentemente che siano in grado di percepirci oppure no. Io metto in dubbio proprio questo, ovvero che la realtà del nostro tempo possa non essere la realtà sua o di un altro individuo. Non è un’ipotesi molto intuibile senza esempi e quindi, per chiarire, le diremo che magari lei nel suo presente reale è a casa sua che scrive di me di questo momento mentre noi siamo invece presenti all’intervista a parlare con lei. Ognuno di noi possiede una propria vita descrivibile come una lunghissima serie di azioni ed ogni azione comporta ad una scelta.” Il ragazzo appoggiò i gomiti sulle ginocchia: “Ma se queste vite sono non
contemporanee come ha appena detto, come può esistere il libero arbitrio? Lo rinnegate?” Il vecchio sbuffò: “Certo che no. Magari noi abbiamo già scelto di fare questa intervista, ma lei potrà
rinunciarvi proprio in questo momento, tutto è possibile. Ogni deviazione dal percorso è possibile ed alimenta la costruzione di una modello complesso di vite ognuna intrecciata con altre come in una rete i cui nodi non sono altro che le nostre scelte.”
“Ma questo non è possibile. Io non vi capisco. Come potrebbe il mio presente essere diverso dal suo se in passato voi non avreste, che so, scelto di non ritornare in questi posti?”
L’eremita pestò il piede per terra una sola volta: “Quindi lei non ha afferrato il concetto. Non importa quanto possano essere distanti le nostre scelte, tutte quante possono portare ad un nodo, ma l’importante è capire il concetto di verità sulla realtà. Ciò che per tutti noi è odierno in questo attimo potrebbe essere l’insieme di tutti gli intrecci della radice, ma allo stesso modo potrebbe essere vero che nessuno di questi lo sia. Il presente potrebbe anche non esistere. Tutto è racchiuso nelle nostre scelte che io credo possano estinguere il cosiddetto destino. Tutto ciò che noi vogliamo o non vogliamo consciamente o inconsciamente definisce un deviazione della nostra linea temporale ed è in grado di cambiare anche violentemente la nostra vita, ma ciò viene molto spesso influenzato dalle scelte delle altre persone. Quindi tutto può anche essere artefatto o un’illusione, se le scelte degli altri sovrastano le nostre e quindi si tratta di destino. Io ritengo che pure il cosiddetto tempo altronon sia che un artificio umano.”
Durante la pausa di riflessione dell’eremita, Francesco si trovò in difficoltà per formulare una nuova domanda e scelse di farsi ripetere l’ultima frase per far proseguire il discorso: “Quindi voi pensate che il tempo altro non sia che un artificio umano?” Il vecchio spense la pipa e il sole che illuminava la stanza dall’unica finestra lo mise in ombra: “Il tempo è comunemente accettato come una serie di attimi che compongono il nostro passato, presente e futuro, ma a livello ipotetico, e di calcolo, ogni attimo potrebbe essere diviso in metà all’infinito. Il solo tempo definito dal giorno e dalla notte altro non è che un’illusione della rotazione terrestre, ma in verità è solo un metodo di calcolo per la nostra comodità. Nella realtà esiste il solo e semplice movimento di particelle che compongono tutti noi ed ogni cosa intorno a noi. Esiste solo il movimento non il tempo. Collegandoci al discorso della scelta, io ritengo che ogni nostro movimento nel presente non possa comunque ad influenzare l’immensità dello spazio. In questo momento è possibile che tutto ciò che sta al di fuori della nostra realtà possa in verità essere già stato deciso e dunque la nostra presenza non possa essere in grado di cambiare mai la natura degli eventi. Vogliamo concludere lasciandole un messaggio di speranza,
senza la quale ogni vita sarebbe vuota: ricordatevi di essere sempre accorti con le vostre scelte di vita quotidiana e fate in modo che possano essere sempre le migliori per voi e per ciò che vi circonda, in qualunque tempo viviate perché ogni vostra scelta è parte integrante della nostra esistenza.”
L’Eremita della Vecchia Ferrovia di Mattia Bellunato 11/04/11 (Tutti i Diritti Riservati)