giovedì 3 marzo 2011

L'Orologiaio Matto & il Calzolaio Pazzo

In un giorno di nebbia, tipico dei primi dell’anno, Timothy era appena uscito di casa e, mentre camminava, si mise a spiegazzare un foglietto di carta su cui sua madre aveva appuntato: “Ricordati di passare dall’orologiaio prima di pranzo.”
Timothy ben si ricordava che doveva recuperare la pendola del nonno da quel vecchio e tedioso orologiaio nel bel centro del paese.
A Timothy quel vecchiaccio non gli era mai piaciuto.
Adesso era un po’ più grande per poterci andare da solo, ma era comunque infastidito dall’idea di risentire l’orologiaio con quella sua graffiante e gracchiante voce e dal carattere così invadente da sembrare molesto.
Tutti sapevano che l’artigiano aveva qualche rotella fuori posto, ma veniva comunque considerato come il miglior riparatore di orologi antichi di tutta la città.
Timothy si fece coraggio, ora aveva quindici anni. Attraversò tutta la grande piazza e raggiunse l’ingresso seminascosto della bottega.
L’ingresso era tra un negozio d’abbigliamento ultramoderno e un bar molto frequentato e, per questo motivo, non dava nell’occhio con la sua vetrinetta spoglia e poco curata oltre ad un’insegna di legno risalente allo scorso millennio.
Timothy entrò nel piccolo atrio della vetrinetta e vide alla sua sinistra l’inquietante porta buia di vetro con a fianco un piccolo campanello con una scritta: “Suonare.” L’ingresso era chiuso.
“Che sia chiuso?” Timothy non vide alcuna luce aldilà del vetro ma vide che era in tempo secondo l’orario d’apertura esposto. Allora suonò ed attese.
Poco dopo la porta elettrica scattò.
“Sono ancora in tempo.” Pensò Timothy sorridendo finché non percepì quel vecchio tanfo di chiuso tipico dello sgradevole negozio.
Attraversò la porta e quindi svoltò verso destra per poter prima attraversare la penombra e poi raggiungere la luce sgargiante del grosso bancone.
L’aria viziata, accompagnata da un continuo ticchettio di cento orologi tutti diversi appesi ai muri, soffocò i pensieri del ragazzo che attraversò velocemente la semioscurità.
Il vecchio matto era ora dietro al bancone, ma si intravedeva appena dato che qualcuno gli era di fronte al lato opposto del tavolo. Forse un altro cliente.
Questi indossava un lungo cappotto marrone ed era un anziano che dava le spalle a Timothy. Era un vecchio signore completamente glabro ma grinzoso che batteva il proprio piede sinistro con nervosismo: “Anche questa volta non la spunterai!” la sua voce era secca e tagliente, persino più fastidiosa di quella dell’orologiaio che rispose: “Tu pensa a fare il calzolaio. Non vedi che sono a cavallo?” il vecchio bacucco dai pochi capelli grigi incolti indossava, come sempre, dei grossi occhiali da vista molto strani: “Vedrai che stavolta vincerò e tu mi dovrai restituire i miei due anni!”
Il ragazzo notò che l’orologiaio aveva sistemato sugli occhiali una grossa lente monocolare e vide che il vecchio trafficava sopra al bancone dove c’era qualcosa di nascosto alla sua vista.
Il calzolaio scoppiò a ridere e poi sbottò: “Hai sbagliato!” ma subito si fermò quando udì i passi del ragazzo dietro di sé. Si voltò lentamente ma, appena lo vide, lo ignorò e si rivolse verso il suo compare: “Tu non saresti neanche in grado di salirci sopra ad un cavallo. Figuriamoci vincere questa giostra!”
Timothy si avvicinò mettendosi in luce per capire meglio e vide che il duo stava osservando con concentrazione una vecchia scacchiera con sopra una sola pedina: un cavallo bianco.
Le altre pedine del gioco erano ammucchiate a fianco della scacchiera mentre l’orologiaio teneva in mano un sottile cacciaspine con il quale aveva appena fatto una piccolissima incisione su di un piccolo quadrato chiaro della scacchiera.
Il giovane conosceva le regole del gioco, ma non capiva perché mai l’orologiaio cercasse di spostare la propria pedina secondo le regole dato che la partita era già finita in qualche modo.
“A ha! Ti ho già detto che hai sbagliato! Quella mossa l'avevi già segnata!” sorrise il calzolaio
mentre l’orologiaio sbuffò: “Maledizione. Stavolta me ne mancavano solo tre!” poi si voltò: “Oh, salve ragazzo…”
Il calzolaio rise: “Adesso tocca a me. Allacciati la cintura vecchio sbragalone! Sarò io a vincere la giostra!”
“No, ora tocca al ragazzo…” l’orologiaio sospese la diatriba spostandosi di lato verso Timothy che balbettò: “Buon… buongiorno.”
Il calzolaio di risposta borbottò: “Dannazione! C’era una probabilità su trentamila, che fastidio.”
L’orologiaio non distolse il suo sguardo e sorrise mostrando i suoi pochi denti veri e con voce sempre più forte disse: “Dammi solo il tempo per cacciare via questa vecchia ciabatta saltafossi!”
“Cosa? Come osi?” sbraitò il calzolaio: “Oggi pomeriggio io tornerò qui e vedrai come ti faccio le scarpe!” il vecchio si mosse con una camminata sbilenca ed andò verso l’uscita ed afferrò il suo vecchio cappello con una toppa vistosa. Poi guardò male l’orologiaio: “Non avrai mai indietro i tuoi due anni!” e poi fece  l’occhiolino al ragazzo: “Stammi bene figliolo.” E sbatté la porta con violenza.
“Quel vecchio pelato si crede capace di vincere la giostra mentre non sa neanche di che colore sia il cavallo bianco di Napoleone. E tu, invece?” l’orologiaio si avvicinò a Timothy affacciandosi sempre più dal bancone e fissò il giovane paralizzandolo con i suoi stanchi occhi grigi: “Sai dirmi perché le lancette dei minuti sono sempre più lunghe di quelle delle ore?”
Timothy cercò di riflette, ma non seppe dare altra risposta e balbettò: “Per… per distinguerle?”
“No! No. No!” Scosse la testa l’orologiaio mentre strinse con forza i bordi del bancone: “Almeno saprai dirmi com’è il tempo oggi, vero?”
Timothy era in forte imbarazzo e avrebbe voluto poter prendere quello stramaledetto orologio a cucù per poi fuggire via invece che prestare ascolto alle domande di quel vecchio pazzo.
“Oggi…ehm…” Timothy pensò che il vecchio fosse rinchiuso nella sua bottega da giorni e che non potesse avere idea del tempo là fuori e disse con certezza: “È una bella giornata.” mentì ma subito corresse il tiro: “Almeno non piove…”
“No! No. No! Non vedi l’ora? È uguale a ieri? Non capisci che è l’ora di ieri a quest’ora!” il vecchio puntò lo sguardo verso i suoi innumerevoli orologi.
Timothy vide quasi tutti i cento orologi e si rese conto solo in quel momento che ognuno di essi misurava un tempo diverso e riuscì a dire con voce flebile: “Adesso sarà quasi mezzogiorno…"
“Oh santi numi! È già ora quindi!” l’orologiaio osservò il proprio calendario appeso al muro vicino
all’ingresso del proprio laboratorio e lo afferrò: “Torno subito!”
Timothy ebbe il tempo di vedere il calendario e si rese conto che il mese di gennaio era corretto, ma le date erano tutte sbagliate. Forse era quello dell’anno appena trascorso o forse no.
Sentì in lontananza i borbottii del vecchio: “Non c’è tempo! Non c’è tempo da perdere…” mentre trafficava nel laboratorio.
Alla fine tornò dietro al bancone con un nuovo calendario che fissò al muro con aria soddisfatta.
“Mi scusi.” tossì apposta Timothy: “Io sono qui solo per ritirare l’orologio di mio nonno…”
A quelle parole, l’orologiaio si voltò ed afferrò da sotto il bancone un libro molto grosso. La sua copertina di cuoio era finemente ornata con fili d’argento e l’anziano lo aprì a metà e poi fece scorrere le pagine: “Che nome?”
Timothy pensò che il proprio cognome fosse la risposta esatta dato che era lo stesso di suo nonno: “Leary!”
“Veramente?” il vecchio alzò lo sguardo per un momento: “Sei il nipotino di Francis?” e Timothy annuì e sorrise per il fatto che quello fosse anche il suo secondo nome.
“Solo un momento.” l’orologiaio incominciò a sfogliare il libro all’impazzata e il ragazzo vide che era tutto scritto a mano e le informazioni erano disposte in ordine su tre colonne: sulla prima vi erano segnati degli orari, sulla seconda dei piccoli disegni stilizzati e sulla terza dei codici numerici da tre cifre.
Il vegliardo si fermò sulle ultime pagine e col suo vecchio dito storto scorse la colonna dei disegnini e si fermò quando vide una corona stilizzata: “Ah! Eccolo qui.” e spostò lo sguardo sulla colonna successiva: “Codice 657. Vado subito a prenderlo.”
Timothy attese qualche minuto con nervosismo a causa di quel fastidioso ticchettio della bottega e di un inquietante orologio a pendolo raffigurante un volto umano che muoveva gli occhi a tempo.
“Eccolo qui! Ora il cuculo funziona alla perfezione.” disse il riparatore gonfiando il petto: “C’era qualche rotella fuori posto ma ora è come nuovo.” E porse una vecchia scatola di legno al ragazzo e sorrise: “Siamo a posto così.”
“Se lo dice lei…” scappò un sorriso a Timothy divertito dal sottile gioco di parole.
“Salutami il nonno mi raccomando!” salutò l’anziano.
“Lo farò!” Timothy uscì finalmente dalla vecchia bottega afferrando saldamente la scatola e chiuse la porta.
Poi si fermò e, per curiosità, aprì la scatola.
“Quel vecchio o è un matto o è un genio.” E vide un affascinante orologio composto da mille
ingranaggi diversi, sia per misurare il trascorrere del tempo e sia per poter muovere una decina di piccole statuette di legno: “Stupendo.”
L’Orologiaio Matto & il Calzolaio Pazzo di Sirio MB 02/02/11 (Tutti i Diritti Riservati)

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