mercoledì 9 marzo 2011

L'Onironauta

Stephanie aveva realizzato un suo sogno: era finalmente a Londra.
Il viaggio fu lungo e faticoso ma ora, una volta sistemate tutte le sue cose nella camera dell’ostello, poteva finalmente uscire all’avventura.
Adorava quella metropoli anche se non la conosceva bene e non aveva ancora percorso alcuna via a piedi.
Scese in strada ma purtroppo, come spesso accade a Londra, la giornata non era bella. Il cielo era grigio come i palazzi intorno a lei e questo colore conferiva al paesaggio urbano dei tratti indiscernibili come se ci fosse una leggera nebbia mattutina.
Uscita dall’ostello, la gioia di Stephanie si spense presto e venne sostituita dal disagio. Oltre al paesaggio grigio, davanti a lei si muoveva costantemente un groviglio caotico di mezzi e di persone.
Rimase ferma sul selciato dell’uscita secondaria dell’ostello che dava sul passaggio tra l’ingresso della metropolitana e le strade trafficate.
Osservò prima il paesaggio grigio alla sua destra e poi si voltò a sinistra verso l’ingresso della metropolitana ma il suo cuore sobbalzò. Un tizio vestito con un lungo impermeabile e con il cappello spuntò all’improvviso da un angolo dell’ingresso della metropolitana e si fermò.
Stephanie percepì di essere osservata e rimase immobile per poterlo esaminare meglio e capire, ma non vide alcun viso sotto quel cappello borsalino.
All’improvviso sul volto nero s’illuminò un sorriso enorme e deforme a mezzaluna pieno di denti aguzzi.
Stephanie si spaventò e se ne andò via a passi veloci nella direzione opposta.
 
Seguì a fatica le moltissime e contraddittorie indicazioni cittadine e ci mise quasi novanta minuti per arrivare al parco centrale.
Il parco era semideserto e preservava un po’ dell’autentica natura in mezzo a quella foresta di enormi palazzi.
Un gatto nero le si avvicinò alle proprie gambe per strusciarsi con passo felpato.
“Ciao micio!” Stephanie sorrise.
L’animale era piccolo, dolce e mite e questo tranquillizzò la ragazza che lo accarezzò: “Hai fame?”                 Il tenero muso del gattino si sfregò sulla sua mano con delicatezza, ma poi il suo sguardo si volse oltre la ragazza: un uomo le si era avvicinato.
Il gatto soffiò inferocito e il pelo si raddrizzò per la furia mentre Stephanie si volse, alzò lo sguardo e si pietrificò: <<Cosa… cosa vuoi?>> pensò ma non riuscì a parlare come se fosse stata soffocata.
L’uomo con l’impermeabile le era davanti ed alzò subito una mano dal guanto bianco per indicare qualcosa oltre di lei. Il gatto fuggì via come se fosse impazzito.
Stephanie non poté non voltarsi e quindi si alzò in piedi: in quella direzione vi era una costruzione strana.
Un piccolo palazzo circolare di pietra con attorno delle grosse piglie di argilla.
“Cosa…” Stephanie si rivolse verso lo sconosciuto ma era scomparso.
 
La struttura del monumento era circolare e le piglie erano tutte diverse per altezza ed inclinazione.
La ragazza ne contò otto prima di entrare nel palazzo centrale.
Oltre all’ingresso di pietra si poteva intravedere poco, ma Stephanie trattenne il respiro ed entrò.
All’interno, la sala circolare era spoglia e la poca luce naturale poteva penetrare nella stanza grazie a delle fessure. Stephanie vide che tutte e tre le finestre erano identiche e poi notò che la sala non era completamente spoglia: il pavimento era tagliato perfettamente a metà da una lastra dorata con vicino delle scritte piccole ed indistinguibili. I contorni delle finestre illuminate sembravano indicare qualche scritta ma una nuova luce, proveniente da fuori, attirò l’attenzione di Stephanie.
La ragazza uscì dalla struttura e sorrise quando il sole le illuminò il viso e poi aprì la bocca dallo stupore: “Che meraviglia!” pensò.
Di fronte a lei si ergeva un’immensa vallata di alte montagne verdi e dolci oltre ad un rigoglioso prato infinito. Stephanie si mise una mano sulla fronte per poter scrutare meglio.
Oltre al verde indistinto, intravide una grossa pozza d’acqua e, ancora più lontano, vide una pastorella con un animale simile ad una pecora al proprio fianco.
“Ma come è possibile?” Stephanie cercò una risposta mentre si avvicinava alla pozza per poter poi raggiungere quella ragazza: <<Ma dove sta andando?>> si disse quando vide la pastorella allontanarsi sempre più: “Aspetta!!” e, dallo sconforto, s’inginocchiò ai bordi del laghetto: “Che posto è questo?”
La ragazza volle rinfrescarsi per poter ritrovare un po’ di lucidità, ma prima di toccare l’acqua si fermò.
La sua immagine riflessa era deformata a causa del leggero e continuo movimento ondoso nell’acqua torbida. Poi la sua sagoma lentamente prese forma.
All’improvviso il suo volto riflesso divenne nero ed un enorme sorriso deforme a mezzaluna pieno di denti aguzzi la sfigurò. La ragazza spalancò gli occhi dall'orrore.
“Stephanie! Stephanie. Stephanie!” percepì dall’acqua.
Tutti i suoi muscoli s’irrigidirono dal terrore e l’angoscia prevalse su tutte l'emozioni.
“Stephanie! Stephanie. Stephanie!” fomentò la propria ansia, ma la sua coscienza non le diede la forza di volontà per controbattere.
“Non è reale! Non è reale. Non è reale!” pensò a ripetizione come un mantra.
Poi vide con orrore un braccio della sua deforme immagine riflessa che l’afferrò con forza e la trascinò sott’acqua.

L’angoscia e l’affanno s’impossessarono di lei.
Riaprì gli occhi e vide una maglia metallica di un letto dell’ostello sopra di sé illuminata dalla poca luce artificiale proveniente da un lampione oltre la finestra. Era supina ma completamente paralizzata. Tutti i muscoli del suo corpo erano come bloccati.
Stephanie però era lucida e cosciente, ma la sua angoscia aumentò a dismisura quando si accorse che solo gli occhi rispondevano ai suoi comandi. Gli arti non rispondevano se non con dei lievissimi movimenti.
<<Aiuto! Aiuto!! Aiuto!!!>> pensò di gridare ma riuscì solo a sussurrare qualcosa d’impercettibile.
Sentì come se la propria voce fosse soffocata da qualcosa di anomalo e il panico la prese in sopravvento.
Voleva alzarsi dal letto, pensò di essere stata imprigionata o catturata da qualcuno quand’ecco che la luce della camera si accese.
Henrik, il suo ragazzo, era rientrato in camera ma lei non riuscì a chiamarlo e si mise a piangere.
“Cosa succede?” si allarmò lui quando la vide: “Hai fatto un brutto sogno?” la ragazza riuscì finalmente a muoversi ed allargò le braccia per poter stringere il ragazzo a sé. “Si!” singhiozzò lei mentre lui l’aiuto ad alzarsi.
“Su. Non è niente. Adesso è tutto finito. Ti accompagno in bagno per rinfrescarti. Ok?” le diede conforto facendole scendere le gambe dal letto. Ancora singhiozzante, Stephanie si mise le pantofole e restò  abbracciata ad Henrick.
Dalla porta dell’atrio Stephanie lo fermò un secondo per poter spegnere la luce della camera, ma l’interruttore scattò a vuoto: era impossibile spegnere la luce: <<Ma cosa?>>
“Ma com’è possibile? Si è rotto?” la ragazza riprese coscienza e si voltò verso Henrik di fianco a sé che la guardava intensamente e sorrise con un enorme ghigno deforme a mezzaluna pieno di denti aguzzi.
 
Quindi si svegliò.

L’Onironauta di Mattia Bellunato 11/02/11 (Tutti i Diritti Riservati)
 

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